"Vuoi lavorare? Impara il tedesco"

 

La Germania è affamata di ingegneri, di medici, di informatici. Ma non mancano opportunità in altri settori. Ecco perché i corsi al Goethe stanno avendo un boom. E non solo in Italia
di Paola Pilati e Stefano Vastano

L'Espresso 

Ich bin ein Berliner, compitava la generazione degli anni Sessanta fremendo con John Kennedy per la libertà negata nel cuore della Germania. I ch würde so gern ein Deutscher sein, vorrei tanto essere un tedesco, dicono oggi i giovani disoccupati d'Europa, soprattutto di quei paesi "Pigs", i più schiaffeggiati dalla piaga dei senza lavoro. E non basta desiderarlo. Per salire sulla locomotiva d'Europa occorre saperlo proprio dire, e bene, nella lingua di Schiller e di Kant: per trovare un contratto in Germania, soprattutto per le qualifiche professionali, non basta più l'inglese come lingua franca, ma è richiesto il livello di tedesco detto B1, molto più di quel che serve per ordinare birra e patate.

Dal modello tedesco alla germanizzazione dell'Europa, partendo dal suo ventre molle? Pensiero scorretto, e poi non è detto che sia un male. Ma senza rispolverare la storia dell'impero romano costruito sulla diffusione della lingua, è un fatto che negli ultimi mesi ha preso forma un progetto che si potrebbe definire di "orgoglio culturale". Che vede in prima linea i Goethe Institut, la rete di scuole di lingua e civilizzazione all'estero, con una missione precisa: fare da cerniera tra il mondo delle imprese tedesche a caccia di personale qualificato e il mercato del lavoro.

E con un budget record: 139 milioni di euro la somma ora stanziata dal ministro del lavoro Ursula von der Leyen, per spingere i giovani stranieri a studiare, già in patria, il tedesco. Se prima i destinatari dei corsi di lingua erano studenti di filosofia o seminaristi, dall'anno scorso è stato un boom di aziende che hanno chiesto la formazione in tedesco per professionisti: erano solo 14 nel 2011, sono diventate 40 nel 2012. Quelle tedesche impiantate qui, da Lufthansa a Würth a RheinMetall, e quelle italiane acquistate dai tedeschi, come la Ducati, diventata Audi Group, e la Italdesign di Giugiaro, diventata Volkswagen. Nelle scuole il tedesco, eterna cenerentola, comincia a diventare un insegnamento sexy per gli studenti (10 mila in più nell'ultimo anno); la crescita di corsi al Goethe registra un più 25 per cento.

«Per fare business occorre conoscere non solo la lingua, ma anche le regole di comportamento», aggiunge Maurizio Casasco, presidente nazionale della Confapi, che riunisce le piccole e medie imprese. «Qui da noi, a Brescia, da un anno e mezzo si fanno veri corsi di formazione sul sistema tedesco dei rapporti di lavoro, sull'ottimizzazione della qualità, sull'efficienza. Per far capire ai nostri che una consegna alle ore 5 del giorno 22 deve essere quella, e non il giorno dopo, e che a una richiesta di preventivo occorre rispondere subito, altrimenti i tedeschi si rivolgono a un altro».

Ma in questo caso ciò che si muove sulla logica dei fatturati è meno potente di quanto viene messo in moto dal bisogno di braccia, anzi di cervelli. Con il suo tasso di disoccupazione al 6,9 per cento, un clima che ha permesso al sindacato Ig Metall di chiedere aumenti del 5,5 per cento e alla Volkswagen di promettere bonus di performance di 7.200 euro ai lavoratori delle sue fabbriche, la Germania è diventata il mercato del lavoro più attraente del continente.

Per far funzionare le imprese tedesche devono entrare ogni anno in Germania – stimano i demografi – almeno 400 mila emigranti. Sembra una cifra enorme, ma corrisponde per difetto alle attuali ondate migratorie. Nel 2012 infatti oltre 500 mila persone provenienti dai 27 paesi dell'Unione hanno cercato lavoro in Germania, voltando le spalle ai paesi più colpiti della crisi economica: il record è della Polonia (vedi grafico a fianco), ma sono in crescita i flussi da Spagna, Portogallo, Grecia e anche Italia. Per noi il paese della Merkel si sta trasformando in una specie di nuova America: l'anno scorso 32.633 italiani sono arrivati, per motivi di studio o alla ricerca di lavoro, in Germania. E questi, commenta Vassili Tsianos dell'università di Amburgo, «sono solo i dati ufficiali: quelli reali dovrebbero essere tre volte maggiori».

Basta un clic nella "job listing" del sito Make-it-in-Germany, il portale aperto dai ministeri dell'Economia e del Lavoro di Berlino, e nel giro di un secondo si aprono (con tanto di indirizzo, contatti e telefono) centinaia di offerte di posti di lavoro. La Iks Engineering, ad esempio, cerca dal primo marzo un ingegnere per la sua centrale a Colonia. La Atlas Titan ne assume uno ad Amburgo. La penuria di specialisti dura ormai da anni. Già nel 2009 mancavano nelle fabbriche tedesche qualcosa come 34 mila ingegneri. Un danno gravissimo per il "made in Germany", che si stima aver causato nel 2010 una perdita di 3,3 miliardi di euro. E negli ultimi tre anni il bisogno di tecnici e ingegneri si è più che triplicato: lo scorso gennaio si contavano 67.800 posti vacanti per ingegneri in tutta la Germania. Un altro vistoso buco è quello degli esperti di informatica. Lo scorso dicembre, dice Ina Kaiser, esperta del settore, «nelle imprese tedesche mancavano oltre 25 mila informatici. E il trend aumenterà nei prossimi anni».

«Nelle nostre cliniche e ospedali mancano medici e personale paramedico», aggiunge Beate Raabe, portavoce del Zav, la nuova Agenzia per il personale straniero che ha aperto i battenti a Bonn, per accogliere e canalizzare nel modo migliore i nuovi lavoratori specialisti dall'estero. Secondo l'associazione degli ospedali tedeschi, oggi in Germania mancano almeno 12 mila dottori nelle cliniche del paese. Di fatto, già ora su 440 mila medici praticanti in Germania oltre 32 mila sono stranieri. Con non pochi problemi linguistici: di recente un medico di origini arabe ha equivocato tra pollice (daumen) e intestino (darm) nella cartella clinica di una ricoverata.

Certo, non tutti i 16 Länder federali cercano urgentemente ingegneri o medici. Berlino, ad esempio, affossata da 60 miliardi di debiti, ha una disoccupazione del 12,4 per cento. «Sono le regioni della Daimler e della Siemens, della Porsche e della Bmw, e cioè la Baviera e il Baden-Württemberg, quelle in cui, insieme all'Assia, è più marcata la domanda di lavoro», spiega Friedrich Scherer dell'Ufficio di collocamento nazionale di Norimberga. «Siamo disperati», afferma Hanke Höhm, manager della ditta di costruzioni Josef Hebel a Biberach, presso Stoccarda, «cerchiamo nuovi ingegneri, ma non ne troviamo qui in Germania».

Con il nuovo emigrante, giovane e specializzato, è mutata di 180 gradi anche la politica dell'immigrazione del governo di Berlino. «Noi tedeschi», riassume Scherer, «abbiamo bisogno di una nuova cultura del Willkommen, più aperta e tollerante nei riguardi dei nuovi emigranti». Si chiama proprio così, Welcome Center, il nuovo ente di accoglienza che ha appena aperto i battenti ad Amburgo. In un open-office tutto vetri e poltroncine di pelle blu, gli addetti danno il pacchetto-informazioni necessarie (dalle tasse ai posti negli asili-nido) ai nuovi arrivati. Semplificato al massimo anche il permesso di soggiorno per gli specialisti non europei che cerchino fortuna in Germania.

Dall'agosto 2012, un informatico o ingegnere non europeo ottiene senza problemi la cosiddetta Blaue Karte se dispone di entrate per 46mila euro l'anno, o di 36mila per gli specialisti più richiesti.

Affacciandosi su mercati del lavoro così diversi dal suo, il sistema tedesco si è accorto che deve modellarli alle sue pratiche migliori, renderli più simili a se stesso. È quello che sta accadendo sul fronte dell'apprendistato. In Germania l'abbinamento insegnamento tecnico e training in azienda funziona benissimo, da noi meno.

È per questo che il Goethe Institut (che il 22 marzo farà un convegno a Roma su "Al lavoro col tedesco") si è attivato per trasferire un po' della best practice teutonica sotto le Alpi. Italia lavoro, società controllata dal ministero dell'Economia, si sta attivando per avvicinare sia le nostre scuole sia le nostre università alle esigenze delle imprese tedesche in Italia. Lo hanno già fatto la Faber Castell, marchio tedesco delle matite, e l'azienda del cachemire di Bruno Manetti da Empoli: un ex studente di lingue, che col tedesco ha fatto la sua fortuna.
18 marzo 2013

 

Sede

Goethe-Zentrum Verona
Istituto di Cultura Italo-Tedesca

Via San Carlo 9 - 37129 Verona
Tel. +39 045 912531
Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
PEC: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
P.I. 01716250236

Segreteria

dal lunedì al venerdì
dalle ore 9:00 alle ore 12:00 e
dalle ore 15.00 alle ore 20.00

sabato
dalle ore 9:00 alle ore 12:00

Iscrizione newsletter

Iscriviti alla nostra newsletter se vuoi essere aggiornato sulle attività e corsi che proponiamo.